Corsari del Gusto®

liberi pensieri di un contadino della provincia di Cuneo e dei suoi amici

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Sulle tracce della soya (2)

Vi ricordate i post sulla Soya (vedi) e (vedi)?

Vi comunico:

Oggi, martedi 3 febbraio ore 19.00 presso:  libreria caffè Giufà in Via Degli Aurunci 38, a Roma (zona San Lorenzo)

Inaugurazione della mostra fotografica
“Sulle tracce della Soia. Testimonianze dal Sudamerica”
progetto di Riccardo Russo e Claudio Sica
Audiovisivi di Riccardo Russo
Fotografie di Claudio Sica

Un lavoro grandioso e di tanto coraggio. Vorrei potere esserci anche io! Roma è lontana da Savigliano ma continua a chiamarmi…(By Corsaro)

Sulle tracce della soya

PER INFO: info[at]claudiosica.net  oppure

 riccardo.russo[at]uniroma1.it

E’ UFFICIALE, LA CEE HA AUTORIZZATO L’IMPORTAZIONE E LA LAVORAZIONE DI SOYA OGM BREVETTO A2704-12 SIA PER USO MANGIMISTICO CHE PER USO ALIMENTARE (UMANO)

I SIGNORI DELLA CEE INFORMANO INOLTRE CHE TUTTI I PRODOTTI DERIVATI DA QUESTO OGM SARANNO SOGGETTI ALLA RIGOROSA NORMATIVA EUROPEA SU ETICHETTATURA E RINTRACCIABILITA’

POTETE LEGGERE QUI: UNIMONDO OPPURE SUL SITO

EUROPA .EU O DA PRESSANTE.

INSOMMA, SU INTERNET SE NE PARLA.

 

 

 

Segue progetto mostra multimediale “Sulla via della soya”  (per commenti ritornare al post precedente-grazie)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Attualmente consiste in una mostra multimediale di fotografie, filmati e pannelli esplicativi (26 stampe 40×60 + 2 gigantografie, 3 totem LCD, 1 proiezione su schermo grande).

 

 

 

 

Parole Chiave

Sovranità Alimentare, monocoltura, OGM, Sud America, diritti umani.

Sinossi

Nella mostra viene presentata una interessante raccolta di documentazione fotografica e audiovisiva selezionata nel corso di un viaggio nei paesi del cono sud a contatto con le persone che quotidianamente convivono con gli effetti della monocoltura di soia geneticamente modificata.

Attraverso le loro testimonianze, capi indigeni, contadini senza terra e nuovi abitanti delle grandi città ci guidano nei loro luoghi di vita raccontando le proprie storie, tutte diverse ma fortemente legate al rapido ed inesorabile avanzamento della macchina agricola sulle colture di sussistenza e sul bosco nativo. Tra le tante storie, quella di Silvino Talavera, morto a 11 anni per intossicazione da diserbanti agricoli e divenuto simbolo della lotta contadina contro le multinazionali dell’agricoltura in Paraguay.

Obbiettivi

Questo lavoro, che segue il percorso della soia dalle aree coltivate fino ai grandi porti fluviali del Rio Paranà dove viene imbarcata alla volta dell’Europa, vuole essere un contributo al dibattito europeo sugli OGM in una fase in cui le pressioni del mercato globale sono particolarmente importanti ed un approccio consapevole al consumo alimentare si rivela sempre più necessario.

La maggior parte della soia prodotta in Sud America viene infatti venduta alla UE come alimento per gli animali da allevamento. Una volta “trasformata” in carne raggiunge dunque le nostre tavole e ci converte, nostro malgrado, in grandi consumatori di foraggio da importazione OGM nonché responsabili (anche se ignari in quanto non informati) dell’ecocidio sudamericano e dell’espulsione dei contadini dalle loro terre.

A prescindere dal dibattito sugli OGM questo lavoro intende dunque porre l’attenzione sulla insostenibilità del modello agricolo biotecnologico sui rischi futuri dati da previsioni di una ulteriore crescita della domanda mondiale di soia come materia prime per la produzione di biodiesel.

Introduzione alla mostra

Negli ultimi decenni si è registrato un continuo aumento del fabbisogno di olii e farine vegetali per l’industria alimentare del pianeta.

In particolare dagli anni ’60, quando la Comunità Europea ha iniziato a ridurre le importazioni di carne dal Sud America e ad aumentare le importazioni di foraggio, le piantagioni di soia hanno cominciato a diffondersi in maniera consistente in alcuni paesi del cono sud, soprattutto in Argentina, Brasile e Paraguay.

A partire dalla metà degli anni ’90 poi alcuni avvenimenti di portata storica quali l’apertura economica della Cina, l’avvento della “Mucca Pazza” in Europa e la diffusione delle sementi geneticamente modificate, hanno innescato una crescita esponenziale della domanda di foraggio sul mercato mondiale e questo ha portato ad un’espansione rapida ed incontrollata della produzione di soia, sospinta della grande industria agroalimentare, sulle aree agricole e sul bosco nativo della regione indiscriminatamente.

Alcuni degli effetti più devastanti di questo processo sono visibili oggi nei paesi del Cono Sud dell’America Latina, dove la superficie coltivata a soia cresce inesorabilmente da oltre dieci anni a discapito della biodiversità e dei diritti di base delle popolazioni locali, minacciando la loro stessa sovranità alimentare e la possibilità di accedere alla terra e alle risorse naturali.

In effetti, per quanto i sostenitori del transgenico utilizzino spesso la propaganda di un miglioramento degli alimenti ad interesse collettivo, fino ad oggi la ricerca ha creato solamente sementi utili a controllare il mercato degli erbicidi ed aumentarne il consumo.

La principale invenzione che ha rivoluzionato il modello produttivo della monocoltura di soia negli anni recenti è stata di fatti la creazione del seme Round-Up Ready di Monsanto. Il seme è stato modificato per resistere all’effetto velenoso del pesticida Round-Up di produzione Monsanto. Il modello produttivo diffuso si basa dunque sull’utilizzo congiunto del seme e del diserbante.

Le conseguenze più dannose che questo modello agro esportatore sta creando nei paesi del cono sud sono evidenti sul piano ambientale, sociale ed economico.

Dal punto di vista ambientale l’espansione della monocoltura di soia sta producendo un avanzamento inesorabile della frontiera agricola sui boschi nativi del Chaco e della Yungas, e l’utilizzo massiccio del potente erbicida Round-Up sta provocando la contaminazione irreversibile delle acque e dei suoli. In Bolivia le coltivazioni di soia cominciano a risalire le verdi yungas nelle zone pre andine, in Argentina stanno divorando il bosco nativo nelle province del Nord. In Brasile hanno già da anni trasformato radicalmente l’ecosistema naturale nelle aree meridionali mentre in Paraguay, paese un tempo ricco di boschi e foreste, quasi non esiste più vegetazione naturale ma una sola grande distesa di soia geneticamente modificata.

Sul piano sociale gli effetti più importanti si riscontrano nella perdita di terra da parte della popolazione indigena e contadina. Il processo di abbandono delle aree rurali e di popolamento delle grandi periferie urbane si accompagna così ad un processo di impoverimento estremo della popolazione e ad un aumento importante dell’insicurezza alimentare. Alla perdita di sovranità alimentare segue poi inevitabilmente la perdita della sovranità culturale, poiché le culture contadine ed indigene sono molto legate alle abitudini culinarie. A tal proposito è utile ricordare anche il progetto della “Soja Solidaria”, con cui a partire dagli anni ’90 i grandi produttori hanno tentato di introdurre la soia e i suoi derivati nelle mense popolari in sostituzione della carne e del latte, a grave discapito della salute dei bambini più poveri.

Dal punto di vista economico i danni per le economie dei paesi che scommettono sul boom della soia sono concretamente individuabili nella diminuzione del lavoro agricolo (di fatti il modello “sojero” si fonda su di un’agricoltura meccanizzata e priva di agricoltori), nell’aumento della dipendenza economica dovuta all’obbligo di importare brevetti e tecnologie per la produzione e nell’aumento esponenziale del prezzo di mercato della terra agricola. Processo quest’ultimo che compromette la possibilità futura di riportare i contadini nella campagna perché né le famiglie ex contadine né tanto meno le politiche governative avranno più la disponibilità economica in futuro per riacquisire delle terre che hanno visto quadruplicare il proprio valore commerciale negli anni del “boom sojero”.

Molti analisti avanzano inoltre l’ipotesi secondo cui il sistema produttivo basato sulla monocoltura di soia OGM che si sta strutturando in Sud America sarà in gran parte riconvertito nel futuro per la produzione di biodisel come combustibile naturale alternativo al petrolio. In questa ottica si comprende l’interesse dell’agroindustria nei costosissimi progetti infrastrutturali per il trasporto fluviale che sono in discussione in tutta la regione. Il progetto IRSA in particolare prevede la connessione dei bacini tre del Rio Orinoco, del Rio delle Amazzoni e del Rio Paranà e la creazione di una “autostrada” fluviale per un trasporto capillare dalle aree interne all’Oceano Atlantico che sta già provocando danni ambientali irreversibili agli ambienti umidi intutta la ragione. (By Claudio Sica e Riccardo Russo)

 

 

 

 

La Soya Solidaria

Dal 1995 l’esportazione di soya, e la frontiera agricola ad essa collegata, continua ad avanzare su tutto il bacino del Rio Paranà fino ad intaccare le ultime riserve forestali. Tra gli effetti di questo ecocidio c’è la contaminazione dell’ecosistema naturale che espone le comunità rurali a gravi pericoli.

La diffusione del pacchetto Monsanto, basato sull’uso congiunto del seme Round-Up Ready e del micidiale erbicida Round Up, ha abbattuto i costi di coltivazione su grande scala spingendo le maggiori multinazionali dell’industria agroalimentare a trasformare le risorse idriche e forestali della regione in un gigantesco sistema agricolo per l’esportazione di semi e derivati.                      (By Riccardo Russo-Claudio Sica)

Dal 1995 l’esportazione di soya è raddoppiata in Paraguay, triplicata in Argentina, quadruplicata in Brasile e da allora la frontiera agricola continua ad avanzare su tutto il bacino del Rio Paranà, delle foreste del Mato Grosso alle verdi Yungas alla Pampa umida, al bosco nativo del Chaco. E’ tutta soya geneticamente modificata destinata ai mercati mondiali (compresa l’italia) gran parte per alimentazione animale. In Italia è proibita la semina di organismi geneticamente modificati (OGM) ma c’è una legge fatta apposta per soddisfare le esigenze della solita lobby che ammette l’importazione di derrate che possono contenere contaminazioni di ogm per cui, quella Soya, arriva dritta delle nostre aziende. Ma il fatto che sia OGM è il male minore, lo scandalo è che la coltivazione di questa soya semina morte e distruzione. MORTE E DISTRUZIONE: è risaputo ma l’attenzione della gente viene convogliata altrove, magari nei grandi convegni fatti per salvare il mondo, ecco perchè ritengo l’evento Terra Madre folklore, un colorato folklore. Tutti sanno cosa succede e a tutti fa comodo così. Il legislatore in Italia si lava le mani facendo scrivere nei cartellini del mangime animale “contiene organismi geneticamente modificati” e tutto appare in regola. Con il piccolo particolare che la gente non sa che firma in piazza NO OGM e poi a casa apre il frigo e gnam, gnam.

Le nostre cronache ci informano che è stato trovato morto un corvo in un cassonetto dei rifiuti in Cina, ma non ci parlano di Silvino Talavera un bambino di 11 anni, morto,  per avere inalato il diserbante Raund-Up che viene vaporizzato con aereoplani sulle colture di soya. Villaggi interi vengono “diserbati” per via dell’effetto del vento, muoiono persone ed animali, e si contamina l’acqua.  Ci sono delle lotte armate di contadini che si ribellano a questo sistema, ma si contano ormai molte vittime per mano dei paramilitari che detengono il controllo.

E noi “popolo civile” ed attento, non razzista, impegnato nella salvaguardia della foca monaca lasciamo, con indifferenza, che tutto ciò avvenga. Ma attenzione!

Noi contadini ed allevatori siamo gli utilizzatori finali quelli che, utilizzando materie prime, tra cui soya carioca, cresciamo gli animali. Siamo consumatori e non abbiamo alternativa perchè sul mercato, se hai bisogno di soya, c’è solo quella.

Io punto il dito verso i sindacati agricoli che hanno mancato di una educazione all’etica ed al buon senso, si schierano dietro al NO OGM ma poi lasciano che si firmino leggi che, di fatto, ne permettano l’importazione.

VERGOGNA!  PERCHE’ NON VI E’ MAI VENUTO IN MENTE DI FARCI COLTIVARE A NOI, CONTADINI ITALIANI, LA SOYA PER USO INTERNO impedendo importazione di quella extracee? E’ UNA COLTURA FACILE, CON BASSI APPORTI DI AZOTO (SE LO PRODUCE da sola) CI AVETE FOTTUTO CON LE BARBABIETOLE DA ZUCCHERO, CON LE FILERE CORTE, CORTISSIME. COME POTETE LASCIARE CHE SI USI QUESTA SOYA CHE FA MORTI? Qui la coltura rende poco, perchè penalizzata dal prezzo, competitivo,  di quella di importazione ma se si chiudessero le frontiere, a quella soya-morte,  il prezzo sarebbe equo e noi avremmo una possibilità in più. NOI VOGLIAMO COLTIVARE LA TERRA, NON CEMENTIFICARLA. Ai MANGIMIFICI dell’agrindustria, che sono quelli che con una telefonata ordinano le tonnellate, si dovrebbe imporre:  SOLO GRANAGLIE ITALIANE.  Questo e’ compito di un sindacato, NON IMPORCI I PREZZI NEI MERCATI CONTADINI.

Scusatemi ma mi sono veramente incazzato, una faccenda come questa non si può facilmente risolvere alla fonte ma sicuramente si può contrastare NON CONSUMANDOLA e coltivando in casa quella che ci serve. CHE QUALCUNO SI DIA UNA MOSSA! Se ci sono soldi spendiamoli per IL FARE, non per discutere sul come, perchè, quando e dove. (by Corsaro)

Un ringraziamento al dott. Claudio Sica che con il suo collega, il dott. Riccardo Russo, è partito alla volta dell’America Latina per raggiungere le località “calde” e fare informazione, fare luce su questa terribile vicenda. Il dott. Sica ha risposto cortesemente a una mia email e, a sua volta, mi ha inviato un sacco di materiale (foto e scritti) sul tema.   Riporto un passaggio, forte,  della sua email: “Sono convinto che i problemi che la vostra categoria si trova ad affrontare non siano molto diversi da quelli che, seppur più drammaticamente, subiscono in altre parti del pianeta i lavoratori della terra, i pastori, ecc. Le politiche a breve termine dei governi sottovalutano l’importanza del rapporto diretto con il territorio, la valorizzazione della biodiversità.”                                                                                                                                           Segnalo inoltre una mostra multimediale su questo tema (Sulle traccie della soya) che, per chi fosse interessato ad organizzare eventi di sensibilizzazione, è disponibile a fronte di un contributo economico. Per questo contattare: info[at]claudiosica.net oppure riccardo.russo[at]uniroma1.it