Corsari del Gusto®

liberi pensieri di un contadino della provincia di Cuneo e dei suoi amici

L’azienda agricola: una bottega a cielo aperto.

C’è già, ma non si vede!

Una bella bottega, in cascina, che offre i prodotti di più cascine che si uniscono in una cooperativa di vendita saltando tutti i passaggi della filiera agroalimentare.
E perché solo in cascina?
Si potrebbe fare anche in città.
Un bel punto vendita in città, autogestito da contadini lungimiranti.
Cassette di verdura fresca, frutta di stagione, il banco frigo dalla carne, dei salumi…il burro, il latte, lo yogurt, le uova. Il vino!

Ma guarda te che idee mi vengono. Idee malsane. Idee da figlio dei fiori, da hippy.

2 Commenti »

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2 Risposte a “L’azienda agricola: una bottega a cielo aperto.”

  1. 1

    Luca Ripellino dice:

    No, niente hippy, e nessuna idea malsana: semplicemente, quello è il futuro! In parte è ovvio che il rapporto tra cittadino medio (o “normale” che dir si voglia…) e campagna (o agricoltura) è di una tristezza assoluta, anzi praticamente inesistente: non sono solo leggende urbane quelle dei bambini che immaginano certi prodotti solo sui banchi del supermercato, e non capiscono da dove provengono… Emblematico, e non è una battuta, il caso dell’uovo: quanti bambini sanno “da dove esce”?!? Eppure c’è anche un aparte di società che invece invoca e cerca questo riappropriarsi di una certa naturalità nella propria vita, di un contatto diretto con la terra, di uno stile di vita meno frenetico e con ampi spazi… solo che spesso la gente è realmente impossibilitata a fare tutto ciò, perchè ormai vittima di un sistema che trita di tutto e di più (compresi i valori reali della vita!), che non lascia spazio alcuno, che omologa tutto e tutti in un teatro dove diventa sempre più difficile non essere burattini… E allora Edo la tua idea è geniale, non malsana: se Maometto non va alla montagna…. La gente non ha tempo e modo di andare in giro per cascine a cercare prodotti alimentari? Ecco che i proodtti alimentari vengono portati A loro e DA loro, con uno spazio vendita che deve diventare un autentico cavallo di Troia in mezzo a tutto il resto. E vengono portati da UOMINI, da chi quei prodotti li ha prodotti (e non è un gioco di parole), da chi può raccontare una storia di quei prodotti, e non una balla, da chi vendendoli ci mette la faccia! Non è malsano, e forse non è nemmeno utopistico: certo è difficile, ma si arriverà a togliere l’effimero e a badare alla sostanza; i cellulari smetteranno (almeno un pò) di squillare, e magari si arriverà ad investire qualche soldo in più sul cibo che non su telefonini, hi-pod e mp3… Ci si romperà le scatole degli happy-hour (dove “gli innamorati non si guardano nemmeno negli occhi”, come dice un GRANDE!!) dove si mangiano gli avanzi ricoperti di salsine invereconde per mascherare gusti orribili, e si tornerà a fare la spesa insieme, a correre a casa a spacchettare gli acquisti, pensando a cosa cucinare in famiglia… e per chi è single, no problem: farà tendenza portare la ragazza a casa e farle assaporare un formaggio di cascina e un’insalata non lavata (con amuchina!) e insacchettata 10 giorni prima! Hippy? No: realisti! Luca

  2. 2

    Corsaro dice:

    Se pensiamo bene si potrebbe realizzare una spece di botteghe in franchising.
    Con un logo unico, stessa immagine ecc. ecc.
    Gestite e amministrate dalla famiglia diretto-coltivatrice. Tolto che siamo in Italia, dove impera il NO, non vedo quale sia il problema. Le famiglie rurali impegnate in un circuito a livello nazionale di filiera, dalla produzione alla vendita. Altro che bancarelle e guerra tra i poveri…

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